PILLOLE DELL'ALTRA SESTO
Corriere di Sesto
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Philippe Daverio alla Galleria Campari: guarda le FOTO e leggi di cosa ha parlato!
Una conversazione decisamente interessante, come raramente capita di farne. Ieri sera, 12 giugno, Philippe Daverio, storico dell’arte, ha colmato delle sue parole i grandi spazi della Galleria Campari, incantando per oltre un’ora decine e decine di persone.
Questo è stato il primo appuntamento di un ciclo di incontri dal titolo “Conversazioni con…” (che vedrà alcune fra le maggiori personalità del panorama artistico e culturale dell’Italia di oggi intrattenersi con il pubblico con argomenti fra i più disparati), e aveva come titolo “Camparisoda un’icona senza tempo: quando la pubblicità diventa arte”.Un assioma –quello della pubblicità che diventa arte- che Daverio ha smentito: «L’arte non è comunicazione pubblicitaria e la pubblicità non è arte. L’arte deve essere ambigua, deve veicolare un messaggio talmente complesso da permetterne diverse letture (tutte legittime) fatte da persone diverse e in momenti diversi; e poi è come un virus: dal momento che una persona ne viene colta, guarda il mondo in maniera diversa. La comunicazione invece deve ridurre il messaggio, e semplificarlo al massimo affinchè sia immediatamente comprensibile in maniera univoca dal maggior numero di persone possibile. È l’esatto contrario. Talvolta le pubblicità arrivano a dei livelli di complessità e ambiguità notevoli (tipo le creazioni di Armando Testa), davanti a cui l’arte deve interrogarsi. Ma sono due cose diverse».
Lo storico ha poi solcato la storia di Davide Campari, definendolo un caso abbastanza raro di cosa sia veramente un designer e allargando dunque il discorso sul significato della parola design. «Davide Campari riuscì a capire che ci sarebbe stata un’Italia industriale e che Milano sarebbe stata fulcro di una modernità imminente. Con la sua determinazione riuscì a intuire, sin dall’inizio, un percorso creativo; aveva un sogno, e il prodotto di quel sogno, del sogno di un singolo uomo, è l’oggetto di design, che travalica le epoche mantenendo pienamente vivi i suoi significati. «La bottiglietta del Camparisoda, così come la bibita rossa che porta il nome del suo inventore, sono diventati simboli nazionali. Ha pesato indubbiamente anche l’effetto stupore: prima del Campari non esisteva nessuna bibita rossa dal sapore così amaro ma inspiegabilmente piacevole. E chiaramente la capacità di saper comunicare il prodotto non può essere ignorata o sminuita –conclude Daverio-: insieme al Campari ne bevi la storia, le immagini e l’idea straordinaria di prodotto che ne è stata creata».
Giulia Virzì
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